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Un trucco bellissimo per fare le moltiplicazioni che vi lascerà a bocca aperta

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Questo video ci mostra un trucco matematico semplice ma ingegnoso per aiutarci con le moltiplicazioni.

Utilizzando un semplice sistema disegnando linee, tutto il problema delle moltiplicazione viene semplificato, semplicemente contando il numero di volte che le linee si incrociano.

Alcuni dicono che questo è il modo in cui si insegna la matematica in molti paesi asiatici. La vera domanda è, perché non insegnano questa forma di moltiplicazione in Italia?

 

 

Fonte: http://www.dverso.com

Montanari: «Nell’Emilia colpita dal sisma l’arte va rifatta com’era»


L’anno scorso, il 5 maggio, ci fu la chiamata a raccolta di storici dell’arte, architetti e professionisti affini a L’Aquila per vedere con i propri occhi il terremoto che non era finito con le scosse. Vennero tanti giovani, venne l’ex ministro Bray, la giornata tra i ponteggi e le rovine fu drammatica e appassionante al tempo stesso: l’ideatore di quella giornata fu Tomaso Montanari, docente all’università Federico II di Napoli, a oggi il polemista più temuto insieme a Settis da chi gestisce cose e potere nel patrimonio artistico. Quest’anno si fa il bis domenica 4 maggio però in una cittadina che ha subito i colpi delle forti scosse del 20 e poi del 29 maggio 2012 in Emilia, Lombardia e Veneto, ovvero a Mirandola, nel modenese. Stavolta la paternità dell’idea spetta a Italia Nostra che però ha voluto lo studioso come Virgilio per colleghi, appassionati e cittadini consapevoli che palazzi e chiese e opere d’arte sono il fascio di nervi che tiene in funzione i neuroni rimasti a noi italiani. 

Emilia: se l’uomo innesca terremoti di A. Comaschi

MIRANDOLA, CHIESA DEL GESU’ DOPO IL SISMA

Montanari, da dove viene l’idea di una giornata a Mirandola? 

«Non è un’idea mia stavolta, è una richiesta molto forte venuta da Italia Nostra dell’Emilia – Romagna. A Mirandola il problema non è drammatico come a L’Aquila, è più sottile e ha comunque ripercussioni pesanti».

E quale ritiene sia il problema? 

«In Emilia ha prevalso una linea drastica sui monumenti danneggiati che ha avuto il culmine in abbattimenti come quello del municipio di Sant’Agostino. Qui il pericolo è che si distinguano con una eugenetica del territorio i pezzi pregiati da salvare e quelli da non salvare. Di quel municipio si disse che non aveva importanza ma èuna visione commerciale da top ten, era un edificio comunque di oltre 70 anni e vincolato. E conta il tessuto del territorio».

Cosa contesta di questa impostazione? 

«L’idea che quando un monumento è troppo danneggiato o lo si lascia come rudere o lo si abbatte. Tra alcuni storici del restauro, architetti e dirigenti dei beni culturali del ministero in Emilia Romagna passa la linea del “com’era ma non dov’era”. E questa linea trova consensi tra i vescovi che stanno per bandire concorsi per rifare chiese. È un purismo formale legato a un pensiero alla Ruskin (il letterato, esteta, disegnatore e critico d’arte inglese di metà 800 innamorato dell’Italia, ndr) dove conta la materialità delle pietre. La trovo una posizione intellettualistica che, senza cattive intenzioni, è bene dirlo, si salda con la speculazione e con l’interesse di lavorare per tanti architetti».

A L’Aquila però il dramma è ben diverso, lì le persone non abitano nemmeno più nei loro luoghi storici, nelle case, il centro storico è un cantiere pur se molti lavori sono partiti, almeno nell’ultimo anno, … 

«Non è solo un problema estetico ma civile e sociale: questi monumenti e architetture sono la mappa della vita di una comunità. Al cittadino non importa se la chiesa ha le solite pietre. Il concetto di ricostruire un monumento “com’era e dov’era” è stato fondamentale nella storia italiana: nel caso contrario non avremmo in ponte di Santa Trinita di Firenze né il Tempio malatestiano di Rimini, che furono ricostruiti anche pesantemente cercando di rifare quel che non c’era in modo simile o nel modo più simile possibile. Se non si fosse seguito quel principio per secoli oggi saremmo in un’Italia diversa».

La chiamata a raccolta del 4 maggio a cosa serve? 

«A ribadire il motto “com’era dov’era” in opposizione al motto “com’era ma non dov’era”.

A costo di ripeterci, ma in Emilia lo scenario del dopo sisma è molto differente da quello abruzzese. 

«Certo, le cose sono andate meglio ma questo problema esiste e gli storici dell’arte devono esserne consapevoli, non possono essere interessati solo agli oggetti originali, devono interessarsi ai luoghi più che alla conversazione feticistica di un pezzo. Ritengo sia meglio rischiare un falso storico che rischiare la perdita di identità d una comunità e quindi la giornata di Mirandola è in continuità con quella de L’Aquila. Ed è un’occasione per riparlare della città abruzzese, infatti verranno anche cittadini aquilani. D’altronde nella zona ci sono ancora monumenti chiusi: la Galleria Estense, a Mantova la Camera degli sposi del Mantegna…»

Articolo di Di Stefano Miliani
Link: Unità.it

Permesso di costruire e Scia, in arrivo modelli unici nazionali.

29/04/2014 – Un modello standard nazionale per la richiesta del permesso di costruire e la presentazione della Segnalazione Certificata di Inizio Attività (Scia). È l’obiettivo del ddl di riforma della Pubblica Amministrazione, contenente una serie di misure per la semplificazione del settore edile, che potrebbe approdare nei prossimi giorni in Consiglio dei Ministri.

Il modello standard, che sarà disponibile sia in formato cartaceo che in modalità online, dovrebbe garantire un margine di flessibilità per adattarsi alle diverse norme regionali, costituendo un primo passo verso la semplificazione chiesta da imprese, Regioni ed enti locali.

Nei giorni scorsi, la consultazione lanciata dal Ministro per la Semplificazione, Maria Anna Madia, ha mostrato infatti che l’edilizia è il settore col maggior numero di procedure complicate. In testa alla classifica si collocano proprio il permesso di costruire, ma anche la Scia, che spesso è soggetta a diverse interpretazioni da parte dei tecnici comunali:

La procedura più complicata nel mio settore è la burocrazia che vige nell’ambito della presentazione delle pratiche edilizie. Un vero putiferio. Inoltre le norme sono fatte in modo che possono essere interpretate in maniera diversa dall’uno o altro amministratore”. Professionista, Lombardia.

Per imboschire un terreno agricolo si fanno due passaggi al Parco nazionale, uno in provincia per zona SIC, uno all’Ispettorato provinciale delle foreste per il vincolo idrogeologico, uno alla Regione per l’autorizzazione finale. Viva l’anidride carbonica…” Professionista, Puglia.

Ogni Comune della Regione interpreta a proprio modo la classificazione degli interventi urbanistici, nonostante le definizioni appaiano molto simili. Inoltre, a parità di intervento, mi è capitato che ciò che per la legge nazionale è manutenzione straordinaria priva di rilevanza sismica (soggetta a CIL) per un determinato Comune è soggetto a permesso di costruire”. Imprenditore, Lombardia.

L’introduzione del modello standard semplificherebbe quindi la vita agli operatori del settore, che nonostante l’elevato numero di norme hanno pochi riferimenti chiari e spesso non sanno quale sia la corretta procedura da seguire.

Alcune Regioni si stanno già muovendo in questa direzione. In Puglia, ad esempio, è stata uniformata la modulistica di riferimento riguardante permesso di costruire, provvedimento unico autorizzativo, Denuncia di Inizio Attività (Dia), Segnalazione Certificata di Inizio Attività (Scia), Comunicazione inizio lavori e Comunicazione di edilizia libera.

Il bisogno di semplificazione è stato avanzato anche dalla Rete delle Professioni Tecniche, (RPT), che lamentando la correlazione tra crisi e complessità normativa ha proposto una legge unitaria delle materie di competenza statale, il superamento del Piano Regolatore Generale (PRG) del 1942 in favore del Piano di Governo del Territorio (PGT) e la sostituzione dei regolamenti edilizi comunali con una norma tecnica nazionale (Leggi Tutto).

La creazione di procedure e modelli standard per le autorizzazioni del settore edilizio è considerata di importanza prioritaria dal Governo che, con il Documento di economia e finanza (Def), prevede l’adozione di misure in tal senso entro ottobre 2014.

Ma la riforma dell’edilizia e l’iter verso la semplificazione, pensata per rendere più convenienti gli investimenti dei privati, non si ferma qui. Il ddl costituzionale, varato all’inizio di aprile dal Consiglio dei Ministri, prevede infatti che il governo del territorio e le opere strategiche diventino di esclusiva competenza dello Stato. Solo in questo modo i procedimenti per l’approvazione e la realizzazione delle opere avrebbero una durata certa.

Si inserisce in quest’ottica il Regolamento Edilizio unico nazionale, che eliminerebbe la moltitudine di autorizzazioni necessarie per il completamento di una infrastruttura, ma soprattutto la sovrapposizione tra i diversi enti interessati. Si tratta, ad ogni modo, di un passo successivo, che potrà essere realizzato solo dopo la riforma del Titolo V della Costituzione.

 

Articolo di Paola Mammarella tratto da Edilportale.com
link: http://www.edilportale.com/news/2014/04/normativa/permesso-di-costruire-e-scia-in-arrivo-modelli-unici-nazionali_39199_15.html

 

Photoshop, ora con supporto per la stampa 3D

Adobe ha annunciato l’arrivo di nuove funzionalità per Photoshop CC create appositamente per la stampa 3D, disponibili da subito come parte di un aggiornamento ad Adobe Creative Cloud. Grazie ai nuovi strumenti, sarà possibile mettere a punto modelli 3D partendo da zero, oppure svilupparne di già esistenti, e poi stampare il tutto in locale o attraverso i servizi online di stampa 3D.

Photoshop CC è compatibile con molte stampanti 3D (una fra tutte, la MakerBot Replicator), e supporta vari materiali disponibili, ad esempio, su Shapeways.

Zaccone: “Makers di 60 anni fa: storia di un grande innovatore italiano della musica elettronica”

Questa è una storia di circa 60 anni fa. Parla di un compositore italiano, Domenico Guaccero, di cui in questi giorni si è ricordato il trentesimo anniversario della scomparsa. Sembrerebbe strano raccontare una storia così passata in un blog che si chiama Che Futuro!, ma questa storia ci dice così tanto del rapporto tra l’Italia e l’innovazione tecnologica da risultare incredibilmente attuale.

Negli anni ’60, periodo di significativa innovazione e diffusione tecnologica, in tutta Europa nascevano importanti studi di Musica Elettronica attrezzati con costosi e complessi macchinari presso grandi enti quali Radio nazionali, Università e Centri di Ricerca industriale, studi che erano messi a disposizione dei musicisti per sperimentare e comporre musica con le nuove tecnologie. A Roma invece nulla sembrava muoversi, quantomeno in modo istituzionale.

Domenico Guaccero, un giovane compositore dalla formazione prettamente umanistica, allora poco più che trentenne, co-fondatore dell’associazione Nuova Consonanza, sentì l’urgenza di radunare i compositori e gli ingegneri attivi nella sperimentazione in tal senso per colmare questa lacuna.

Guaccero

L’evoluzione di questa esperienza è stata molteplice: a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 questo piccolo gruppo si era radunato, in mutevoli formazioni e sotto diversi nomi tra cui Studio di Fonologia di Roma, tra cantine private e aule di accademie troppo classiche per comprendere quanto stesse accadendo.

Quindi, a partire dal 1967, un gruppo di sette, (oltre a Guaccero, i musicisti Walter Branchi, Gino Marinuzzi Jr, Franco Evangelisti, Egisto Macchi e gli ingegneri Guido Guiducci e Paolo Ketoff) decise di autotassarsi per affittare un appartamento in cui mettere in condivisione le attrezzature, mixer, microfoni, altoparlanti, sintetizzatori, revox per nastri magnetici, che ciascuno possedeva o che essi stessi avevano costruito ed inventato raccogliendo le macchine dismesse dagli studi di registrazione per il cinema. Nasce così lo Studio Roma7, (in seguito Studio Roma10 con l’annessione di altri 3 soci tra cui il più famoso Ennio Morricone) che fu il primo studio privato autogestito di Musica Elettronica al mondo, basato “ante litteram” sui principi originali dell’open source e del coworking.

Infatti questo studio era uno spazio aperto per chi volesse, versando un contributo, utilizzare le macchine per la composizione musicale elettronica che non erano immediatamente accessibili a tutti i musicisti, sia per la complessità di utilizzo che per il costo. Qui furono realizzati la maggior parte dei nastri delle musiche per i documentari e i film brevi che in quegli anni venivano trasmessi dalla Rai. Ma al di là del ruolo che questo Studio ebbe nella produzione artistica musicale, probabilmente inferiore a quello di altri studi più affermati e istituzionali, l’SR7 ebbe un impatto “sociale” molto influente nella storia dell’innovazione romana, italiana e mondiale.

Nelle esperienze precedenti alla costituzione ufficiale dello SR7, fu inventato, costruito, e quindi utilizzato nello Studio, il primo sintetizzatore per il live al mondo, il SynKet di Paolo Ketoff, da cui Robert Moog, a Roma nel 1962, prese spunto per il suo più celebre synth modulare che tanto ha cambiato la storia della musica occidentale. Come spesso accade, la spinta decisiva a quest’invenzione fu data dall’esigenza di chi, non avendo a disposizione i fondi e gli spazi degli studi più istituzionali, dovette ricercare una soluzione più economica ed agile.

Nel 1972 l’SR10 si sciolse per ricostituirsi sempre sotto la guida di Guaccero ma con altri soci nello Studio 29a. Un giovanissimo Piero Schiavoni, ingegnere del suono tra i più innovatori in Italia, per garantire la sostenibilità dello studio e favorire la diffusione della registrazione musicale allora appannaggio dei grossi studi delle etichette discografiche, qui a partire dal 1978 creò quel modello commerciale di studio di registrazione privato ancora oggi molto diffuso.

Ma soprattutto, sotto la spinta di un grande didatta quale Guaccero era, insieme all’amico Franco Evangelisti, lo Studio divenne, senza soluzione di continuità, fulcro di formazione e divulgazione delle nuove tecnologie applicate al suono tanto da seminare in moltissimi giovani studenti, che altrimenti non avrebbero avuto opportunità, la passione e la conoscenza dell’elettronica musicale. Ogni sera presso lo Studio giovani compositori, studenti di conservatorio, artisti curiosi, si avvicendavano in esperienze didattiche pratiche che oggi chiameremmo workshop, lì dove i conservatori italiani avrebbero attrezzato studi di musica elettronica all’altezza non prima degli anni ’80.

In particolare egli seppe trasmettere a chi frequentava lo studio e le sue lezioni quel gusto artigianale che individuava nella ricerca elettronica, quella necessità che egli avvertiva di diventare musicisti-artigiani, costruttori della propria musica, tanto che Francesco Galante, tra i frequentatori del 29a, definisce quella di Guaccero una vera scuola romana di elettronica musicale artigianale.

School Raising, stampanti 3D e robot nelle scuole italiane grazie al crowdfunding

Negli Stati Uniti, oggi, 5mila scuole superiori possono disporre oggi di una stampante 3D. Il tutto grazie ad un progetto, MakerBot Academy, avviato da una collaborazione tra AutoDesk, America Makes e il portale di crowdfunding DonorChoose. In Italia, però, sono ancora pochissimi gli istituti che possono disporre di uno di questi strumenti d’avanguardia, in grado di creare oggetti in vari materiali – dall’Acido polilattico (Pla) all’acrilonitrile-butadiene-stirene (Abs) – partendo da un disegno tridimensionale realizzato a computer. Così, gli studenti della 3°B del Liceo Scientifico A. Roiti di Ferrara, per acquistare una stampante da mettere a disposizione della classe e dell’intero istituto, ha deciso di ricorrere al finanziamento dal basso. Lo ha fatto grazie a School Raising, la nuova piattaforma di crowdfunding dedicata alle scuole e ai progetti formativi, avviata alla fine del 2013 dal designer Guglielmo Apolloni e dal business developer Luca Talarico.

“Cambia la scuola con un click” è il motto di School Raising, che si pone l’obiettivo di attirare e valorizzare i talenti che gravitano all’esterno ed all’interno della scuola italiana: professori, dirigenti scolastici, alunni, ma anche genitori, associazioni, singoli ed imprese che mettono in campo capacità progettuali per cambiare e migliorare l’istruzione e il suo contesto. Sono loro i partner cui School Raising offre una piattaforma di crowdfunding verticale, pensata ad hoc per le scuole e i progetti legati a formazione ed educazione. “Noi mettiamo in gioco la nostra esperienza e la voglia di imparare assieme”, racconta a Wired Guglielmo Apolloni, co-fondatore di School Raising. “In Italia ci sono già circa 40 piattaforme di crowdfunding attive, ma nessuna di queste ha un taglio prettamente scolastico. Ora per noi l’importante è crescere: per farlo, abbiamo bisogno di lavorare spalla a spalla con i progettisti e con gli istituti, imparando assieme dai fallimenti e condividendo i successi”.

Per questo, i fondatori di School Raising si sono raccolti a Ferrara lo scorso 5 aprile, dove hanno festeggiato il successo della campagna di crowdfunding per la stampante 3D, per cui sono stati raccolti oltre 2mila euro. “Una delle parti migliori di questo progetto è la connessione che si costruisce tra studenti, insegnanti e finanziatori, che spesso i ragazzi vogliono ringraziare personalmente”, spiega Apolloni. Che su School Raising precisa: “È ancora un prototipo. Siamo partiti con tre progetti pilota ed ora stiamo sperimentando una campagna lampo e keep it all con 12 progetti focalizzati sul tema i maker di domani, finanziabili in venti giorni”, racconta il designer. “Questo per dire che siamo aperti alle realtà più disparate. L’unico vincolo è quello di avere già una scuola che abbia acconsentito a sviluppare il progetto in caso di finanziamento raggiunto. In seguito, tra il primo contatto e la pubblicazione del progetto sul portale, avviene una sorta di autoselezione che identifica i nostri partner. Sulla comunicazione, ci muoviamo sui nostri canali social ma anche attraverso i nostri network personali, per far conoscere School Raising in Italia ed attirare potenziali progettisti”.

Su School Raising, dunque, non ci sono limiti alle idee a ai progetti da proporre. Attualmente sul sito ce ne sono 15 attivi, e vanno da nuove attrezzature tecnologiche per le classi, ad esperimenti di robotica, alla creazione di una vera e propria orchestra: tutto quello che offre un valore aggiunto all’insegnamento è il benvenuto. Il rischio, se un rischio c’è, è forse quello di rendere semplicemente “digitali” le vecchie collette d’istituto, anziché creare un vero e proprio ecosistema di finanziatori trasversale che oltrepassi le mura della singola scuola. Per Apolloni, entrambe le vie sono virtuose, ma c’è un limite: «Non vedo negativamente l’ingresso del pagamento online all’interno delle collette di istituto. Detto questo, è ovvio il fatto che miriamo a raggiungere le proporzioni da crowdfunding classico, dove il 35% dei progetti è finanziato dalla prima cerchia di amici e parenti, mentre il restante 65% viene dalle cerchie più distanti. La leva per arrivare a questo risultato sono le ricompense. Miriamo infatti a portare gli alunni in cattedra, e condividere con i finanziatori quanto appreso grazie al finanziato. Questo sta avvenendo per esempio con il Liceo Roiti di Ferrara, ma anche all’interno del progetto Murphy, in chiusura nei prossimi giorni, dove due imprese finanziatrici hanno chiesto di portare il team di studenti in visita in fabbrica e di poter vedere il robot una volta ultimato lo sviluppo”.

Il progetto si propone di “ricostruire il tessuto relazionale tra scuola, cittadinanza e imprese“. Una missione che deve guardare, inevitabilmente, anche all’aspetto economico. “Provocatoriamente, direi che la maggiore difficoltà economica delle scuole italiane oggi sia dovuta alla difficoltà nel ripensare la scuola stessa: dovremmo iniziare ad immaginarci la scuola come un’istituzione porosa e permeabile al contesto glocale. Cittadini, associazioni, imprese ed istituzioni dovrebbero poter interagire con la scuola, identificandola non solo come luogo di formazione dei cittadini di domani, ma anche di formazione dei cittadini di oggi. Pensate all’ultima volta che avete imparato qualcosa da uno studente, bambino o adolescente che fosse. Bene, se è successo molto tempo fa, o con poca frequenza, non significa che gli studenti non hanno nulla da insegnare, ma che forse non ne hanno avuto occasione: e questa occasione non deve arrivare per forza e solo dalla scuola della nostra città”, conclude Apolloni. “Ovviamente non è solo questo. Due progetti su tre menzionano apertamente il taglio dei fondi. Ma chissà che da questa difficoltà non emerga un’opportunità per la scuola stessa”.

Stampiamo tutto in 3D, anche i denti

In quel pezzo di Nord-Est che va dal lago di Garda alla laguna di Venezia vigono tre leggi non scritte. La prima stabilisce, con la forza di un comandamento, che un veneto deve pensare prima di tutto a lavorare. La seconda dice che, nel suo piccolo, un veneto può rivoluzionare il mondo, ma guai a farlo sapere in giro. La terza, infine, sostiene che prima o poi qualcuno lo verrà a sapere, e allora quel veneto, che nel suo piccolo può rivoluzionare il mondo, lo inviterà a fare un giro nella sua fabbrichetta. Che quasi sempre si trova in mezzo al nulla, dove nemmeno Google Maps può farcela. Eppure, da quella piccola impresa perduta nel profondo Veneto a Las Vegas il passo è breve.

Le mappe di Mountain View mi spediscono in una via Lago di Levico che si trova a Schio, mentre io devo andare in quella che si trova nella vicina Zanè, che proprio non sembra esistere. Una telefonata, altri dieci minuti di auto per attraversare una costellazione di piccole fabbriche alle pendici dei Colli Berici, ed eccomi a destinazione. Alla Dws Systems, un’azienda che produce stampanti 3D. Una villetta di due piani, con ampie vetrate oscurate in quello inferiore e i fiori sui balconi al superiore. Appena si apre la porta mi accoglie un uomo sulla cinquantina. L’avventura diMaurizio Costabeber, il cofondatore assieme alla moglie Rosanna Cerato, risale ai primi anni ’90, quando importa macchine utensili per l’azienda del padre. Maurizio, classe ’64, è l’uomo che tiene i contatti con l’Asia. Durante un viaggio a Tokyo fa la scoperta che gli cambia la vita. «Vidi in azione una delle primissime macchine di prototipazione rapida, una stampante 3D basata sulla stereolitografia al laser». Un laser blu colpisce del materiale fotosensibile, solidificandolo e formando i vari strati dell’oggetto da stampare. Molto diversa dalle classiche stampanti 3D domestiche, si presta a meraviglia per lavori di grande precisione. Maurizio torna a casa euforico e convince il padre a importarla in tutta Europa e Medio Oriente. «Si ribaltava il concetto: non più macchine per finire pezzi pronti, ma che i pezzi li facevano». L’idea è vincente e gli affari volano. Al punto che, nel 2000, gli viene voglia di provarci con una stampante made in Italy.

Colpo grosso a Basilea
«Visto che eravamo a Vicenza, patria dell’oreficeria, è venuto naturale pensare a una stampante per questo settore». Per lavorare su oggetti così piccoli, però, serve una tecnologia speciale e la lungimiranza di Costabeber lo premia. Ce l’ha in casa ed è proprio la stereolitografia al laser. È costosa, ma le macchine a cui lavora Dws Systems sono dedicate all’industria. Nel 2002 c’è già il prototipo, che debutta un anno dopo alla fiera di Basilea. Prima di Arduino, prima delle stampanti 3D come le conosciamo, prima di tutti in Europa. «È un successo, le vendite aumentano di anno in anno e, nel 2007, decidiamo di chiudere con l’import per dedicarci solo alla produzione».

Operazione denti
Quel piano terra da 300 metri quadrati viene convertito in laboratorio e, nel 2008, nasce Dws Systems. Da questo momento l’azienda vicentina inizia a strutturarsi. Con una filosofia “a chilometro zero”. «Le 26 persone che compongono Dws Systems provengono tutte dai dintorni». Non si tratta di semplici operai, ma di esperti, perché l’altra particolarità della creatura di Costabeber è di produrre tutto in casa, al più con l’aiuto di qualche piccola ditta nei dintorni. «Non dipendiamo da nessun fornitore che non possa essere raggiunto in qualche minuto di auto». E se la piccola stanza dedicata alla produzione sta al piano terra, è sopra le nostre teste che si progetta il futuro della stampa 3D. Qui trovano posto i programmatori, che realizzano i software per gestire le stampanti, ma anche due stanze top secret. In una si trova un piccolo laboratorio chimico, nell’altra alcune strane apparecchiature. «Dws Systems non produce solo le macchine, ma anche i materiali per la stampa. I nostri clienti possono scegliere da un catalogo di oltre trenta, tra plastiche, gomme e via dicendo». Nella prima stanza, tra reagenti e provette, c’è Satoshi, schivo giapponese trapiantato a Vicenza da oltre quindici anni. Nell’altra, invece, si produce il famoso laser blu. «Eh sì, facciamo anche questo da noi, per risparmiare sui costi e spingere l’innovazione». Il mercato li premia. Trend in crescita costante, nel 2012 l’azienda di Costabeber fattura 5,2 milioni di euro che nel 2013 salgono a 7 milioni.

Dws Systems è un ecosistema autosufficiente. «Avviata l’azienda, abbiamo espanso la linea dedicata alla gioielleria, ma poi, l’anno dopo, ci è venuta l’idea di provarci con i denti». Il bello della stereolitografia al laser è che, oltre a lavorare con grande precisione, può usare i più disparati materiali. Tra questi ce ne sono alcuni biocompatibili, cioè pronti per essere infilati nel corpo umano senza problemi di rigetto. E così ecco i denti: «Modificando, ma nemmeno troppo, la nostra tecnologia, abbiamo creato stampanti in grado di produrre un dente in una ventina di minuti. Vai dal dentista, ti scansiona la bocca, e il tuo dente è subito pronto. Così, a fianco della serie dedicata alla gioielleria, laDigitalWax J, è nata quella per dentisti e odontoiatri, la DigitalWax D. Il modello che hai appena visto, la Dfab, costa appena 15mila euro». Il prezzo è un elemento importante nella strategia Dws: coperto il mercato dell’industria, c’era spazio anche in quello dei piccoli professionisti e domestico. «Nel 1997 abbiamo provato a importare una macchina per così dire “consumer”, ma eravamo un po’ troppo avanti per l’epoca e fu un flop». Tuttavia nel 2012 inizia a maturare l’idea che sia il momento di riprovarci: Dws Systems, forte anche di 15 brevetti internazionali, può ormai produrre  a basso costo la stereolitografia al laser. Verso la metà del 2013 si passa all’azione: il team vicentino inizia a progettare Xfab, la prima stampante dedicata alle scrivanie di tutto il mondo. Non si può ancora vedere, ma Costabeber assicura che occupa mezza scrivania circa, con un peso nell’ordine dei trenta chili.

Dalla fabbrica alla scrivania
Se si considera che è figlia della macchina enorme che, alle nostre spalle, sta stampando un’armatura a grandezza reale di Iron Man, c’è da rallegrarsi. «Sfruttando la medesima tecnologia, ha quasi la stessa precisione e, soprattutto, può utilizzare tutto il nostro catalogo di materiali», spiega Maurizio. «Di fatto, si può stampare qualsiasi oggetto o parte di oggetto che sta all’interno di un cilindro con diametro e altezza di 18 cm». Il tutto a una cifra che si aggirerà sui 5000 dollari. Il futuro è d’obbligo: Xfab è stata presentata in anteprima mondiale al recente Ces di Las Vegas e raggiungerà il mercato proprio in queste settimane. Le aspettative sono ben diverse da quel lontano 1996, ma Maurizio Costabeber mantiene un basso profilo e, con tremila giri di parole, lascia intendere che Dws Systems punta a stravolgere il mercato, proponendo una vera e propria macchina industriale in miniatura. Una rivoluzione, nel mondo delle stampanti 3D domestiche. E accennando a una nuova fabbrica in costruzione non lontano da lì, e a una Xfab 2 già in fase di progettazione, fa capire che, questa volta, non ha nessuna intenzione di mollare. «Lontano dai grossi centri industriali, nei posti dove sono nato e cresciuto, insieme alla mia gente». Scopriamo così la quarta legge non scritta: un veneto che fa la sua piccola rivoluzione, quando finisce di parlarne, ha gli occhi lucidi.