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Cosa non avresti mai fatto con una stampante 3D

Barnacules Nerdgasm è un canale YouTube creato da Jerry Berg. Berg è noto ai più per un video toccante pubblicato lo scorso luglio dove raccontava del suo licenziamento alla Microsoft dopo averci lavorato per 15 anni. Da allora lavora a tempo pieno a Barnacules Nerdgasm: si occupa di videogiochi, di tecnologia, nutre un particolare interesse per le stampanti 3D e, più in generale, per il mondo nerd (per intenderci: apre le scatole degli oggetti che deve recensire con una delle stellette rotanti usate da Batman per narcotizzare i cattivi).

Barnacules Nerdgasm ha pubblicato una serie di video dedicati alla Ultimaker v1, una stampante 3D in grado di suonare. Spiegandolo meglio: le stampanti 3D, per ogni movimento fatto dalla testina per spostarsi nello spazio e creare un oggetto tridimensionale, emettono un suono. Questo suono può essere catalogato e associato ad una nota. Il passaggio successivo è ordinare i vari movimenti, e quindi le note, in modo che eseguano una canzone. E questo viene fatto da un particolare programma capace di tradurre qualsiasi partitura midi in un codice chiamato GCODE, che dirigerà la testina in base alle note richieste e riprodurrà così la vostra canzone preferita.

Come era prevedibile, questo sistema è stato subito usato per riprodurre i temi più famosi dei videogiochi (Super Mario Bros o Zelda, ad esempio). Qui invece viene messo alla prova su uno dei brani più noti di Skrillex: “Scary Monsters and Nice Sprites”.

Photoshop, ora con supporto per la stampa 3D

Adobe ha annunciato l’arrivo di nuove funzionalità per Photoshop CC create appositamente per la stampa 3D, disponibili da subito come parte di un aggiornamento ad Adobe Creative Cloud. Grazie ai nuovi strumenti, sarà possibile mettere a punto modelli 3D partendo da zero, oppure svilupparne di già esistenti, e poi stampare il tutto in locale o attraverso i servizi online di stampa 3D.

Photoshop CC è compatibile con molte stampanti 3D (una fra tutte, la MakerBot Replicator), e supporta vari materiali disponibili, ad esempio, su Shapeways.

School Raising, stampanti 3D e robot nelle scuole italiane grazie al crowdfunding

Negli Stati Uniti, oggi, 5mila scuole superiori possono disporre oggi di una stampante 3D. Il tutto grazie ad un progetto, MakerBot Academy, avviato da una collaborazione tra AutoDesk, America Makes e il portale di crowdfunding DonorChoose. In Italia, però, sono ancora pochissimi gli istituti che possono disporre di uno di questi strumenti d’avanguardia, in grado di creare oggetti in vari materiali – dall’Acido polilattico (Pla) all’acrilonitrile-butadiene-stirene (Abs) – partendo da un disegno tridimensionale realizzato a computer. Così, gli studenti della 3°B del Liceo Scientifico A. Roiti di Ferrara, per acquistare una stampante da mettere a disposizione della classe e dell’intero istituto, ha deciso di ricorrere al finanziamento dal basso. Lo ha fatto grazie a School Raising, la nuova piattaforma di crowdfunding dedicata alle scuole e ai progetti formativi, avviata alla fine del 2013 dal designer Guglielmo Apolloni e dal business developer Luca Talarico.

“Cambia la scuola con un click” è il motto di School Raising, che si pone l’obiettivo di attirare e valorizzare i talenti che gravitano all’esterno ed all’interno della scuola italiana: professori, dirigenti scolastici, alunni, ma anche genitori, associazioni, singoli ed imprese che mettono in campo capacità progettuali per cambiare e migliorare l’istruzione e il suo contesto. Sono loro i partner cui School Raising offre una piattaforma di crowdfunding verticale, pensata ad hoc per le scuole e i progetti legati a formazione ed educazione. “Noi mettiamo in gioco la nostra esperienza e la voglia di imparare assieme”, racconta a Wired Guglielmo Apolloni, co-fondatore di School Raising. “In Italia ci sono già circa 40 piattaforme di crowdfunding attive, ma nessuna di queste ha un taglio prettamente scolastico. Ora per noi l’importante è crescere: per farlo, abbiamo bisogno di lavorare spalla a spalla con i progettisti e con gli istituti, imparando assieme dai fallimenti e condividendo i successi”.

Per questo, i fondatori di School Raising si sono raccolti a Ferrara lo scorso 5 aprile, dove hanno festeggiato il successo della campagna di crowdfunding per la stampante 3D, per cui sono stati raccolti oltre 2mila euro. “Una delle parti migliori di questo progetto è la connessione che si costruisce tra studenti, insegnanti e finanziatori, che spesso i ragazzi vogliono ringraziare personalmente”, spiega Apolloni. Che su School Raising precisa: “È ancora un prototipo. Siamo partiti con tre progetti pilota ed ora stiamo sperimentando una campagna lampo e keep it all con 12 progetti focalizzati sul tema i maker di domani, finanziabili in venti giorni”, racconta il designer. “Questo per dire che siamo aperti alle realtà più disparate. L’unico vincolo è quello di avere già una scuola che abbia acconsentito a sviluppare il progetto in caso di finanziamento raggiunto. In seguito, tra il primo contatto e la pubblicazione del progetto sul portale, avviene una sorta di autoselezione che identifica i nostri partner. Sulla comunicazione, ci muoviamo sui nostri canali social ma anche attraverso i nostri network personali, per far conoscere School Raising in Italia ed attirare potenziali progettisti”.

Su School Raising, dunque, non ci sono limiti alle idee a ai progetti da proporre. Attualmente sul sito ce ne sono 15 attivi, e vanno da nuove attrezzature tecnologiche per le classi, ad esperimenti di robotica, alla creazione di una vera e propria orchestra: tutto quello che offre un valore aggiunto all’insegnamento è il benvenuto. Il rischio, se un rischio c’è, è forse quello di rendere semplicemente “digitali” le vecchie collette d’istituto, anziché creare un vero e proprio ecosistema di finanziatori trasversale che oltrepassi le mura della singola scuola. Per Apolloni, entrambe le vie sono virtuose, ma c’è un limite: «Non vedo negativamente l’ingresso del pagamento online all’interno delle collette di istituto. Detto questo, è ovvio il fatto che miriamo a raggiungere le proporzioni da crowdfunding classico, dove il 35% dei progetti è finanziato dalla prima cerchia di amici e parenti, mentre il restante 65% viene dalle cerchie più distanti. La leva per arrivare a questo risultato sono le ricompense. Miriamo infatti a portare gli alunni in cattedra, e condividere con i finanziatori quanto appreso grazie al finanziato. Questo sta avvenendo per esempio con il Liceo Roiti di Ferrara, ma anche all’interno del progetto Murphy, in chiusura nei prossimi giorni, dove due imprese finanziatrici hanno chiesto di portare il team di studenti in visita in fabbrica e di poter vedere il robot una volta ultimato lo sviluppo”.

Il progetto si propone di “ricostruire il tessuto relazionale tra scuola, cittadinanza e imprese“. Una missione che deve guardare, inevitabilmente, anche all’aspetto economico. “Provocatoriamente, direi che la maggiore difficoltà economica delle scuole italiane oggi sia dovuta alla difficoltà nel ripensare la scuola stessa: dovremmo iniziare ad immaginarci la scuola come un’istituzione porosa e permeabile al contesto glocale. Cittadini, associazioni, imprese ed istituzioni dovrebbero poter interagire con la scuola, identificandola non solo come luogo di formazione dei cittadini di domani, ma anche di formazione dei cittadini di oggi. Pensate all’ultima volta che avete imparato qualcosa da uno studente, bambino o adolescente che fosse. Bene, se è successo molto tempo fa, o con poca frequenza, non significa che gli studenti non hanno nulla da insegnare, ma che forse non ne hanno avuto occasione: e questa occasione non deve arrivare per forza e solo dalla scuola della nostra città”, conclude Apolloni. “Ovviamente non è solo questo. Due progetti su tre menzionano apertamente il taglio dei fondi. Ma chissà che da questa difficoltà non emerga un’opportunità per la scuola stessa”.

Stampiamo tutto in 3D, anche i denti

In quel pezzo di Nord-Est che va dal lago di Garda alla laguna di Venezia vigono tre leggi non scritte. La prima stabilisce, con la forza di un comandamento, che un veneto deve pensare prima di tutto a lavorare. La seconda dice che, nel suo piccolo, un veneto può rivoluzionare il mondo, ma guai a farlo sapere in giro. La terza, infine, sostiene che prima o poi qualcuno lo verrà a sapere, e allora quel veneto, che nel suo piccolo può rivoluzionare il mondo, lo inviterà a fare un giro nella sua fabbrichetta. Che quasi sempre si trova in mezzo al nulla, dove nemmeno Google Maps può farcela. Eppure, da quella piccola impresa perduta nel profondo Veneto a Las Vegas il passo è breve.

Le mappe di Mountain View mi spediscono in una via Lago di Levico che si trova a Schio, mentre io devo andare in quella che si trova nella vicina Zanè, che proprio non sembra esistere. Una telefonata, altri dieci minuti di auto per attraversare una costellazione di piccole fabbriche alle pendici dei Colli Berici, ed eccomi a destinazione. Alla Dws Systems, un’azienda che produce stampanti 3D. Una villetta di due piani, con ampie vetrate oscurate in quello inferiore e i fiori sui balconi al superiore. Appena si apre la porta mi accoglie un uomo sulla cinquantina. L’avventura diMaurizio Costabeber, il cofondatore assieme alla moglie Rosanna Cerato, risale ai primi anni ’90, quando importa macchine utensili per l’azienda del padre. Maurizio, classe ’64, è l’uomo che tiene i contatti con l’Asia. Durante un viaggio a Tokyo fa la scoperta che gli cambia la vita. «Vidi in azione una delle primissime macchine di prototipazione rapida, una stampante 3D basata sulla stereolitografia al laser». Un laser blu colpisce del materiale fotosensibile, solidificandolo e formando i vari strati dell’oggetto da stampare. Molto diversa dalle classiche stampanti 3D domestiche, si presta a meraviglia per lavori di grande precisione. Maurizio torna a casa euforico e convince il padre a importarla in tutta Europa e Medio Oriente. «Si ribaltava il concetto: non più macchine per finire pezzi pronti, ma che i pezzi li facevano». L’idea è vincente e gli affari volano. Al punto che, nel 2000, gli viene voglia di provarci con una stampante made in Italy.

Colpo grosso a Basilea
«Visto che eravamo a Vicenza, patria dell’oreficeria, è venuto naturale pensare a una stampante per questo settore». Per lavorare su oggetti così piccoli, però, serve una tecnologia speciale e la lungimiranza di Costabeber lo premia. Ce l’ha in casa ed è proprio la stereolitografia al laser. È costosa, ma le macchine a cui lavora Dws Systems sono dedicate all’industria. Nel 2002 c’è già il prototipo, che debutta un anno dopo alla fiera di Basilea. Prima di Arduino, prima delle stampanti 3D come le conosciamo, prima di tutti in Europa. «È un successo, le vendite aumentano di anno in anno e, nel 2007, decidiamo di chiudere con l’import per dedicarci solo alla produzione».

Operazione denti
Quel piano terra da 300 metri quadrati viene convertito in laboratorio e, nel 2008, nasce Dws Systems. Da questo momento l’azienda vicentina inizia a strutturarsi. Con una filosofia “a chilometro zero”. «Le 26 persone che compongono Dws Systems provengono tutte dai dintorni». Non si tratta di semplici operai, ma di esperti, perché l’altra particolarità della creatura di Costabeber è di produrre tutto in casa, al più con l’aiuto di qualche piccola ditta nei dintorni. «Non dipendiamo da nessun fornitore che non possa essere raggiunto in qualche minuto di auto». E se la piccola stanza dedicata alla produzione sta al piano terra, è sopra le nostre teste che si progetta il futuro della stampa 3D. Qui trovano posto i programmatori, che realizzano i software per gestire le stampanti, ma anche due stanze top secret. In una si trova un piccolo laboratorio chimico, nell’altra alcune strane apparecchiature. «Dws Systems non produce solo le macchine, ma anche i materiali per la stampa. I nostri clienti possono scegliere da un catalogo di oltre trenta, tra plastiche, gomme e via dicendo». Nella prima stanza, tra reagenti e provette, c’è Satoshi, schivo giapponese trapiantato a Vicenza da oltre quindici anni. Nell’altra, invece, si produce il famoso laser blu. «Eh sì, facciamo anche questo da noi, per risparmiare sui costi e spingere l’innovazione». Il mercato li premia. Trend in crescita costante, nel 2012 l’azienda di Costabeber fattura 5,2 milioni di euro che nel 2013 salgono a 7 milioni.

Dws Systems è un ecosistema autosufficiente. «Avviata l’azienda, abbiamo espanso la linea dedicata alla gioielleria, ma poi, l’anno dopo, ci è venuta l’idea di provarci con i denti». Il bello della stereolitografia al laser è che, oltre a lavorare con grande precisione, può usare i più disparati materiali. Tra questi ce ne sono alcuni biocompatibili, cioè pronti per essere infilati nel corpo umano senza problemi di rigetto. E così ecco i denti: «Modificando, ma nemmeno troppo, la nostra tecnologia, abbiamo creato stampanti in grado di produrre un dente in una ventina di minuti. Vai dal dentista, ti scansiona la bocca, e il tuo dente è subito pronto. Così, a fianco della serie dedicata alla gioielleria, laDigitalWax J, è nata quella per dentisti e odontoiatri, la DigitalWax D. Il modello che hai appena visto, la Dfab, costa appena 15mila euro». Il prezzo è un elemento importante nella strategia Dws: coperto il mercato dell’industria, c’era spazio anche in quello dei piccoli professionisti e domestico. «Nel 1997 abbiamo provato a importare una macchina per così dire “consumer”, ma eravamo un po’ troppo avanti per l’epoca e fu un flop». Tuttavia nel 2012 inizia a maturare l’idea che sia il momento di riprovarci: Dws Systems, forte anche di 15 brevetti internazionali, può ormai produrre  a basso costo la stereolitografia al laser. Verso la metà del 2013 si passa all’azione: il team vicentino inizia a progettare Xfab, la prima stampante dedicata alle scrivanie di tutto il mondo. Non si può ancora vedere, ma Costabeber assicura che occupa mezza scrivania circa, con un peso nell’ordine dei trenta chili.

Dalla fabbrica alla scrivania
Se si considera che è figlia della macchina enorme che, alle nostre spalle, sta stampando un’armatura a grandezza reale di Iron Man, c’è da rallegrarsi. «Sfruttando la medesima tecnologia, ha quasi la stessa precisione e, soprattutto, può utilizzare tutto il nostro catalogo di materiali», spiega Maurizio. «Di fatto, si può stampare qualsiasi oggetto o parte di oggetto che sta all’interno di un cilindro con diametro e altezza di 18 cm». Il tutto a una cifra che si aggirerà sui 5000 dollari. Il futuro è d’obbligo: Xfab è stata presentata in anteprima mondiale al recente Ces di Las Vegas e raggiungerà il mercato proprio in queste settimane. Le aspettative sono ben diverse da quel lontano 1996, ma Maurizio Costabeber mantiene un basso profilo e, con tremila giri di parole, lascia intendere che Dws Systems punta a stravolgere il mercato, proponendo una vera e propria macchina industriale in miniatura. Una rivoluzione, nel mondo delle stampanti 3D domestiche. E accennando a una nuova fabbrica in costruzione non lontano da lì, e a una Xfab 2 già in fase di progettazione, fa capire che, questa volta, non ha nessuna intenzione di mollare. «Lontano dai grossi centri industriali, nei posti dove sono nato e cresciuto, insieme alla mia gente». Scopriamo così la quarta legge non scritta: un veneto che fa la sua piccola rivoluzione, quando finisce di parlarne, ha gli occhi lucidi.

Guida alle stampanti 3D

Il 2013 avrebbe dovuto essere l’anno della verità, quello della definitiva esplosione della stampa 3D casalinga, del do it yourself davvero sulle scrivanie di (quasi) tutti. Il 3D printing d’altronde promette di essere il primo, massiccio effetto collaterale della cosiddetta rivoluzione dei maker: un (benefico) effetto concreto e visibile dove, provocazioni a parte, i piccoli e medi oggetti di ogni giorno – e forse anche qualcosa di più grosso – te li farai da solo, impiegando solo il tempo di personalizzare e mandare in esecuzione un file .cad o qualcosa di ancora più elementare. Però su misura.

Questo doveva essere, ma così è stato solo a metà. Il quadro è in crescita, ma pur sempre ancora di nicchia. Come nei precedenti dodici mesi, anche nel 2013 sono arrivati nuovi e più economici modelli di stampanti 3D. La comunicazione si è fatta più larga, il concetto di stampare un oggetto ha iniziato a farsi prepotentemente spazio anche fra chi frequenta poco i territori dell’innovazione, è perfino arrivata in tv. Poi ci sono stati movimenti societari importanti a livello internazionale. L’acquisizione di un promettente player del settore come MakerBot da parte del gigante Stratasys è stato per esempio un segnale forte – tanto che si parla di un ritorno nel settore di qualche grandissimo nome, vedi HP, che già in passato aveva collaborato con il gruppo israelo-statunitense – così come gli ultimi modelli dell’azienda di Brooklyn o, tornando in Italia, l’impressionante carrellata di progetti, prototipi e startup viste per esempio alla Maker Faire romana lo scorso ottobre. Ecco una guida, necessariamente incompleta e orientata al lato prosumer intermedio, per capire qual è la macchina che fa per te, in base a esigenze, caratteristiche, prezzo e impressione generale.

 

MakerBot Replicator Mini

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Svelata all’ultimo CES di Las Vegas, è facile da usare e da gestire, sfodera un ugello magnetico removibile ed è più piccola delle sorelle maggiori (quella che segue, uscita mesi prima, ma anche la nuova e grande Z18), manda in stampa in PLA gli oggetti in pochissimi passaggi anche tramite l’app per dispositivi mobili. Area di stampa da 10 x 10 x 12.5 cm, risoluzione 100 micron, è equipaggiata con connessione Wi-Fi e, curiosità, di una camera incorporata con cui tenere d’occhio quando non ci sei quello che stai costruendo. Dalla sua MakerBot ha un ecosistema incomparabile fra Thingiverse e MakerBot PrintShop. Disponibile dalla primavera, costerà circa mille euro.

 

MakerBot Replicator 2x

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È un po’ l’ammiraglia dell’intero settore, nonché la battistrada per storia e assetto complessivo. Rispetto alla precedente Replicator 2 del 2012 fa un salto sia esteticamente che per caratteristiche: 100 micron di risoluzione, sfoggia un volume di stampa più ampio dei modelli precedenti (25 x 15 x 15 centimetri) e il doppio ugello le consente un sacco di manovra in più. Non solo stampa in due colori, ma stampa anche due oggetti uguali contemporaneamente e fa uso di plastiche come ABS (acrilonitrile-butadiene-stirene) e PLA (la cosiddetta bioplastica) di densità diverse per realizzare strati e livelli più raffinati. Si può trovare sul negozio ufficiale online – se non hai la fortuna di visitare il nuovissimo store newyorkese della MakerBot – sganciando subito circa duemila euro. La classe si paga.

 

Solidoodle 4

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Rispetto al terzo modello il prezzo torna a salire, sebbene di poco. Anche questa svelata, come le novità dei rivali di MakerBot,all’ultimo CES di Las Vegas, il punto di forza rimane però lo stesso della versione precedente. Si tratta infatti della macchina più indicata per i principianti. “Non troverai niente di meglio sul mercato per mille dollari” ha detto il fondatore e Ceo dell’azienda newyorkese, Sam Cervantes. Novità per l’ugello, vanta un’area di stampa da 20x20x20 centimetri (risoluzione 100 micron) ed èfacilissima da usare.

 

Afinia H-Series

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Anche questa è l’ideale per chi inizia: zero controlli sulla macchina, a parte un pulsante d’inizializzazione, si connette via USB col computer (Mac o PC, poco importa) anche se ha un volume di stampa un po’ inferiore alle altre: 13,9 × 13,9 × 13,5 centimetri. Poco male: ti arriva già pronta, con un software semplicissimo da installare e dall’interfaccia molto semplice. Rispetto alle blasonate concorrenti, ha una scocca aperta: insomma è di quelle open, non a cubo. Non a caso, negli ultimi mesi il prezzo – come registrato per diverse altre – è salito un po’, segno che sta registrando un certo successo. Costa 1.200 euro (via di mezzo fra le altre) e la puoi prendere sul sito ufficiale. Se non sai da dove cominciare, puoi iniziare da qui.

 

Fonte: Wired.it